THE GROOST, intervista con la nuova band emergente

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Continuano le interviste ai cantanti e band emergenti! In questa occasione abbiamo una band che vuole uscire un po’ dagli schemi, un gruppo di ragazzi, come pochi, che fanno musica per vera passione. E noi gli abbiamo intervistati per voi. Leggendo questa intervista capirete che a differenza di molti artisti del panorama musicale italiano e non solo, questi ragazzi vogliono andare oltre alle visualizzazioni e i followers, vogliono portare la loro musica oltre i propri confini, e raccontare delle storie dove tutti possono identificarsi, io direi un mix di arte, cultura e storia: “THE GROOST”!

D: Quali sono i componenti del vostro gruppo?

R: Il nostro gruppo è composto da cinque persone: Alessio Profeti alla batteria, Diego Sabatino alla chitarra solista, Matteo Ferri alla chitarra ritmica, Omar Carloni al basso e Giorgia Di Feo alla voce.

D: Quali strumenti accompagnano i vostri brani?

R: Gli strumenti nei nostri brani sono quelli sopracitati e in studio, con l’aiuto del nostro producer Maurizio Sellani, abbiamo aggiunto qualche effetto.

D: Come sta andando il vostro album d’esordio “Personal Clichés”? Quale messaggio volete lanciare con questo album?

R: L’album sta andando davvero bene, ha avuto un riscontro positivo e siamo felici che anche chi non ci aveva mai sentiti live, ha deciso di acquistarlo un po’ a scatola chiusa, senza sapere bene che cosa aspettarsi. Il messaggio dietro all’album è molto semplice: lo abbiamo chiamato Personal Clichés perché parla di tematiche comuni a tutti, ma che ognuno affronta in maniera personale. La sua realizzazione è stata per noi un processo catartico, un processo di guarigione dalle ferite del passato: non a caso si apre con canzoni piene di rabbia e rancore come “HD Lies” e si chiude con “Kintsugi” (nome di una tecnica di riparazione/forma d’arte giapponese) con la frase “I’m healed, I filled my cracks with gold”. Il nostro è un album che, nonostante non affronti tematiche allegre, vuol dare un senso di speranza, d’incoraggiamento a rialzarsi dopo una caduta e a sfruttare il dolore per creare qualcosa di nuovo e potente. Come diceva Carrie Fisher: “Take your broken heart, make it into art”.

D: In futuro ci sarà qualche videoclip delle canzoni che compongono il vostro album?

R: Assolutamente! Stiamo già lavorando con il nostro fotografo e grafico Federico Cesaroni per realizzare il primo video.

D: Proporre un album completamente in inglese, credete che apra più porte nel settore musicale rispetto a un album completamente in italiano?

R: Proporre un album in inglese in Italia è sicuramente un rischio, soprattutto perché ora più che mai la musica indipendente italiana è davvero in voga e sembra essere la prediletta dai nostri coetanei. L’inglese però al giorno d’oggi è ormai una lingua universale che serve a raggiungere un pubblico più ampio e la nostra intenzione è proprio questa. Inoltre crediamo che si tratti di una scelta personale che si basa sulla comodità, sul sentirsi a proprio agio.

D: In futuro sentiremo qualche brano anche in italiano?

R: Abbiamo pensato varie volte a scrivere qualche pezzo in italiano ma la verità è che è paradossalmente scrivere nella propria lingua madre è più difficile di quanto si pensi e il rischio di cadere nel banale è sempre dietro l’angolo. L’inglese con la sua musicalità invece aiuta anche gli scrittori alle prime armi. Ad ogni modo non escludiamo del tutto la possibilità di qualche brano in italiano in futuro.

D: Avete mai pensato a un provino in qualche talent show? Cosa ne pensate dei talent show?

R: Siamo costantemente spinti da chi ci sostiene a provare a partecipare a qualche talent show ma noi non abbiamo una visione troppo positiva della situazione talent attuale: i talent spesso generano “l’effetto meteora”, ovvero ti garantiscono visibilità e successo per qualche mese per poi farti cadere nel dimenticatoio. Inoltre la paura di snaturarsi è decisamente maggiore alla tentazione di provarci, preferiamo la vecchia e talvolta frustrante gavetta che si fa suonando in piccoli locali.

D: Avete già fatto qualche presentazione dal vivo in qualche posto?

R: Sì, abbiamo già presentato il nostro album uscito il 23 Novembre 2016 e attualmente lo stiamo portando in “tour” per promuoverlo.

D: Se potresti definire la vostra musica con un’unica parola, come la definiresti e perché?

R: Ci è sempre risultato difficile definire la nostra musica già a partire dal genere: il nostro sound, pur non essendo nulla di particolarmente innovativo, è la fusione dei nostri backgrounds musicali differenti l’uno dall’altro, per cui è piuttosto difficile etichettarlo sotto un unico genere musicale. Se dovessimo definire la nostra musica usando un’unica parola sarebbe dunque “coesistenza”, perché è appunto l’incontro e la convivenza tra le nostre diverse influenze musicali.

D: Cosa credete vi contraddistingue rispetto ad altre band?

R: Crediamo che sia appunto questa convivenza tra i nostri generi prediletti a contraddistinguerci, la capacità di riuscire a far coesistere la diversità, che è un po’ la nostra sfida.

 

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