Nuovo tour 2017 di Luca Bonaffini “LA PROTESTA E L’AMORE”

Luca Bonaffini torna a teatro

Il libro-intervista “La protesta e l’amore” (realizzato da Mario Bonanno e pubblicato da Gilgamesh lo scorso anno) realizzato in occasione dei trent’anni di carriera del cantautore diventa tour.

Compositore di musiche e autore di testi per canzoni, Luca Bonaffini si è affermato intorno alla fine degli anni 80’ come collaboratore fisso di Pierangelo Bertoli, firmando per lui molti brani in album di successo, tra le quali “Chiama piano”, all’interno dei quali compare anche come cantante, armonicista e chitarrista acustico.

Altre canzoni sue sono state interpretate anche da Patrizia Bulgari, Flavio Oreglio, Sergio Sgrilli, Fabio Concato, Nek, Claudio Lolli e ha scritto testi teatrali insieme a Dario Gay ed Enrico Ruggeri. Ha pubblicato, come cantautore 11 album, affrontando tematiche impegnate e sociali; ha vinto il premio Rino Gaetano (1988) “Targa critica giornalistica” e il Premio Quipo (1999) al Meeting delle Etichette Indipendenti di Faenza (miglior progetto multimediale); ha partecipato al Festival del Teatro Canzone – Premio Giorgio Gaber (2005) e due volte al Premio Tenco (edizioni 2008 e 2012). Nel 2013 ha debuttato come scrittore con il libro “La notte in cui spuntò la luna dal monte” (edito da PresentArtSì), ispirato al suo incontro con Pierangelo Bertoli.

Nel 2015 Mario Bonanno ha pubblicato un libro dedicato ai suoi trent’anni di carriera, intitolato “La protesta e l’amore. Conversazioni con Luca Bonaffini” (edito da Gilgamesh editrice)”.

Dal 2 marzo il songwriter italiano, Luca Bonaffini, ci racconterà ” perché ascoltavamo e facevamo i cantautori…”

Saranno quattro teatri, nel mese di marzo 2017, a ospitare il concerto-reading che racconterà – tra citazioni di ballate epocali di illustri colleghi – e brani suoi “perché (come cita il sottotitolo) ascoltavamo e facevamo i cantautori”: Teatro Sereno – Brescia; Teatro della Proloco – Sarmede (TV); Teatro Comunale – Occhiobello (RO); Teatro Ratti – Legnano (MI).

Niente nostalgia, ne sociologia. Solo canzoni e racconti, vissuti dalla penna di un vero cantautore, di quelli “fortunati” (come lui stesso si definisce) che dal sogno dei banchi di scuola è approdato ai grandi palcoscenici dei prima miti, poi colleghi.

Luca Bonaffini, un ex ragazzo come tanti, è figlio della beat generation e tenace erede del cantautorato doc italiano che, coraggiosamente, ha cantato per protesta e per amore.

Lo spettacolo, interamente unplugged, prevede lo special guest di Giorgia Canevese che presenterà il suo album tribute intitolato “Just a little Sinatra”, dedicato all’indimenticabile Frank.

Ora parliamo del libro + cd a lui dedicato, “La protesta e l’amore”, dall’autorevole scrittore catanese Mario Bonanno, con prefazione di Claudio Lolli.

Luca Bonaffini scrive-canta-suona per sé e per gli altri da trent’anni buoni. Lo fa gettando il cuore oltre ogni ostacolo, per chi ha orecchie e testa per intendere. Lo fa perché non saprebbe fare altrimenti. Lo fa con ostinazione prima ancora che per atto di sincerità.

Questo libro raccoglie molto della sua storia – l’anti-epica di un attraversatore di sogni, riff, facce da rock and roll (o, insomma, giù di lì) –  così come è venuta fuori dagli incontri che ho avuto con lui nel corso del tempo.

Lasciamo adesso la parola allo scrittore, cantautore che scrive-canta-suona per sé e per gli altri da trent’anni buoni.

D: Cosa hanno in comune Claudio Lolli e Luca Bonaffini?

Lo strumento canzone inteso come mezzo per far dialogare insieme musica e letteratura. La generazione è diversa, nonostante ci sia lo scarto di poco più di dieci anni, e tra quella dei cantautori di protesta (la sua) e quella della mancata rivoluzione (la mia), c’è di mezzo una galassia. Nel 1976, quando Claudio pubblicò “Ho visto anche degli zingari felici”, io facevo la prima superiore. Stavo iniziando ad avvicinarmi alla chitarra (allora in casa era d’obbligo averne almeno una…) e frequentavo amici cattolici e altri del Giovani Comunisti che, in comune, avevano il sogno di Aldo Moro. Si litigava e si cantavano “Eppure soffia”, “la torre di Babele”, “Rimmel”, “la locomotiva” e “La collina”. E tra questi c’erano i fondamentalisti, gli intellettuali e i romantici decadenti che, anti-mogol-battisti in prima linea, si seppellivano nelle esplorazioni concettuali di Claudio Lolli. C’ero anch’io lì. Mi consumavo già a 12 anni sui film di Truffaut e di Scorsese e cercavo nella musica qualcosa che andasse oltre “la canzone del sole” e “Roma capoccia” (seppur bellissime). E oggi, dopo 40 anni, considero Claudio un illustre maestro e collega col quale ho avuto l’onore e il piacere di collaborare.

D: Mario Bonanno, la definisce un cantautore di difficile collocabilità, uno che sfugge agli schemi. Quanto crede sia importante raggiungere uno stile e identità?

È tutto. L’elemento identitario è la base solida sul quale costruire una vita, una storia, un matrimonio, una carriera. Il dramma del novecento, il secolo gatto “sfuggente e graffiante”, è proprio questo: aver creato i presupposti per la distruzione dell’identità collettiva, offrendo alle masse la possibilità di sentirsi “felicemente individualisti”. Un dramma diventato tragedia con l’avvento della new economy, la caduta delle ideologie e la sopraffazione del social web, bacheca dell’Universo disegnato.

D: Nel libro racconta che da piccolo vedeva Milano come la città della Madonnina gigantesca, ora che sono passati 40 anni, la sua visione su Milano è cambiata? O la vede ancora come una gigantesca New York?

L’ho vissuta, amata e odiata. Oggi è la mia seconda città, la matrigna a cui è stata affidata la mia carriera. Ma la mia mamma naturale resta Mantova dove ho imparato a sognare e a non dimenticarmi di esserne capace. La Grande Mela è stata invece la mamma di tutte le città interculturali del mondo, coi sui pro e contro. L’America mia era quella di Hollywood, di Bob Dylan e di Kerouac. Oggi è quella degli adepti della Clinton e di Trump.

D: Ci sono incontri che ti cambiano la vita. Ricorda un incontro particolare che abbia cambiato la sua vita musicale e artistica?

Ovviamente quello con Pierangelo Bertoli. Il ragazzo della stanza dei sogni di casa Bonaffini, là dall’angolo di Via Curtatone e Montanara nella Mantova degli anni 70, aveva avuto l’occasione di poter crescere e realizzare. Le mie canzoni immaginate o solo scritte, grazie a Pierangelo, sono diventate pezzi di vinile e cd, e questo lo devo in gran parte alla sua attenzione, convinzione e tenacia.

D: Quanto conta secondo la sua opinione il testo di una canzone rispetto alla musica?

Per me è il 50%. L’altra metà del successo. La gente sussurra melodie, ma canta parole, in tutte le lingue. Quindi la canzone è musica e testo, sempre. E per me come la musica deve essere melodica ed armonica, il testo deve essere poetico.

D: Cosa rappresenta per Luca Bonaffini l’uscita del libro “La protesta e l’amore” e il nuovo live tour 2017?

Rappresentano due cose differenti: non è un caso che il tour decolli quasi un anno e mezzo dopo la pubblicazione del libro. Bonanno e Bellini (l’editore) mi hanno regalato per i miei 30 anni di attività questa significativa “resa dei conti”, uan consacrazione anomala, fatta di vita vissuta che, (come avrai letto), è un manuale perfetto per indicare “cosa non fare” per diventare famosi. Il tour ha lo scopo di promuovere il libro, certamente, ma non solo. Vuole portare in giro un pezzo di storia italiana attraverso alcuni brani del cantautorato che ha influenzato la mia generazione e generato anche le mie modeste ballate. Non per giustificare, intendiamoci, eventuali somiglianze o evidenziare pecche di originalità sia nella scrittura sia nell’esecuzione. Piuttosto per far riflettere sullo strumento canzone-pensiero che, per una volontà chiaramente politica, è stato cancellato dal potere mediatico perché ritenuto pericoloso. Le masse ora si qualificano per i talent show, lasciando alla canzone di qualità il riparo nel ghetto del vintage. E allora, sai che ti dico? A marzo tutti a teatro, a cantare e riflettere (con leggerezza) s’un passato che è ancora l’ancora di salvezza per la nostra cultura musicale e non solo: la protesta e l’amore vivono ancora insieme, ma separati in casa. Come una coppia che non può fare a meno di stare insieme, ma non è certa di amarsi. A teatro, ripeto. Perché hanno bisogno delle orecchie e della voce della gente.

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